Sviluppatore: | Distributore: | Versione testata: | Costo: | Data rilascio: |
Merge Games, Jankenteam | Merge Games | Steam | 19,99 euro | 22/06/2021 |
Era il 1986 quando, in Giappone, uscì sul Sega Master System Alex Kidd, un platform che sarebbe stato il capostipite di una serie che, per quanto faccia parte dell’immaginario collettivo dei videogiocatori più appassionati e di vecchia data, non è mai riuscita a sfondare realmente ed a conquistarsi l’amore del pubblico, non come mostri sacri del calibro di Sonic, Super Mario e Ghouls ‘n Goblins. Eppure, pur non guadagnandosi gli onori della pubblica adorazione, nei successivi quattro anni la serie ha generato diversi seguiti, arrivando poi a scomparire completamente come molte altre serie di pregio che, tuttavia, non hanno mai realmente superato la cosiddetta prova del fuoco, relegando la serie Alex Kidd ad un semplice fenomeno di nicchia, se paragonati ai suoi “fratelli maggiori”, con i soli cinque seguiti e tre giochi della serie All Stars nei quali Alex Kidd, il protagonista, è controllabile. Le cose sono tuttavia cambiate proprio quest’anno, quando è stato rilasciato Alex Kidd in Miracle World DX, che prende ciò che è stato il capostipite della serie e lo riporta in auge con una veste grafica completamente rifatta e più vicina alla modernità, aggiungendo anche qualche chicca. Ma questa è una recensione, perciò non siamo qui solo per presentare il gioco, ma anche per rispondere ad un’unica domanda: Alex Kidd in Miracle World ha resistito alla prova del tempo? Scopriamolo insieme.
Le follie dell’Imperatore Janken
Alex Kidd è un ragazzo speciale. Allenatosi per sette anni sul Monte Eterno, divenendo così un esperto praticante dell’arte Shellcore, è divenuto talmente bravo e forte nella sua pratica da essere in grado, con i propri pugni, di distruggere qualsiasi cosa, comprese le rocce. Messosi in viaggio per visitare la propria patria spirituale, Alex Kidd incontra un vecchio che lo informa del pericolo in cui si trova la città di Radaxian, minacciata da Janken il Grande, Imperatore del pianeta Janbarik. Alex Kidd si mette quindi in viaggio verso Radaxian, dopo aver ricevuto dal vecchio un frammento di mappa ed una pietra del sole. Il suo obiettivo è quello di trovare il fratello Egle e fermare l’Imperatore Janken, deciso a conquistare la Terra dei Prodigi. Nel corso del proprio cammino di ricerca e battaglie, Alex Kidd non avrà solo modo di incontrare e scontrarsi con gli scagnozzi del malvagio imperatore, ma anche di apprendere alcuni dettagli sul proprio passato e su ciò che lo attende nel proprio futuro. Riuscirà il nostro eroe dal pugno d’acciaio a compiere la missione che si è prefissato?
Il pugno che frantuma le rocce
La prima cosa che si nota, appena si prende il controllo del giovane Alex Kidd, è che gli stilemi del platform duro e puro, così come erano strutturati i giochi degli anni 80 e 90, sono rimasti invariati. Volendo sintetizzare enormemente ciò che è Alex The Kidd in Miracle World DX si potrebbe definirlo un platform old school, genere del quale mantiene tutte le caratteristiche, come il numero limitato di vite e la morte istantanea nel caso di venga anche solo toccati da un nemico. Scopo del gioco sarà quello di attraversare livelli zeppi di nemici e trappole, in un sistema totalmente trial and error, nel quale non viene concesso spazio per il ragionamento o la pianificazione, ma è solo concesso di avanzare, senza alcuna possibilità di tornare indietro se non di pochi passi, come se alle nostre spalle si creasse di volta in volta un muro invisibile.
In casi come questo, il non poter tornare indietro è quasi fisiologico per la composizione del livello stesso.
I nemici sono tanti, tantissimi, e se è vero che è possibile affrontarli, Alex Kidd cerca di far leva su quello che, fin dagli albori, è sempre stato IL metodo per sconfiggere i nemici nei platform: saltare sulle loro teste. Ed è qui che i giocatori veterani, abituati magari a giochi come Super Mario o Crash Bandicoot troveranno di che rimanere sorpresi, perchè uno dei punti fermi del gioco è che toccare i nemici, in qualsiasi modo, equivale a morte istantanea. E questo ovviamente include anche il saltare loro addosso. Tutto il gameplay del combat system di Alex Kidd si basa sul fatto che il ragazzo è un esperto dell’arte marziale chiamata Shellcore, che utilizzerà per combattere i suoi avversari. I pugni di Alex sono infatti armi micidiali, capaci di uccidere qualsiasi nemico con un singolo colpo ben assestato, ad eccezione dei boss, e sono altresì capaci di mandare in frantumi gli ostacoli che si trovano sul suo cammino, caratteristica questa che nella quasi totalità del gioco si rivela fondamentale per poter proseguire e creare percorsi, in quanto spesso e volentieri ci troveremo ad avere il passaggio ostruito, e dovremo quindi farci letteralmente largo a suon di pugni per arrivare alla fine del livello. Livelli che, nella maggior parte dei casi, si rivelano essere straordinariamente brevi, abbastanza da poter essere completati nel giro di un minuto ciascuno, a patto ovviamente di conoscere bene la disposizione dei nemici e l’ordine esatto dei blocchi da distruggere.
Percorrendo i livelli avremo modo di rompere determinati blocchi che, se distrutti, lasceranno dietro di sé dei piccoli sacchi di monete d’oro, le quali inizialmente non sembreranno avere uno scopo preciso, sebbene il loro uso diventerà chiaro una volta che si proseguirà a sufficienza. Di tanto in tanto, una volta completato un livello, avremo modo di accedere ad un negozio dove acquistare vari potenziamenti, fra i quali talvolta sono inclusi anche mezzi di trasporto, i quali oltre a consentire nuovi metodi di spostamento e possedere abilità speciali, come ad esempio la moto che distrugge i blocchi automaticamente al tocco, conferiscono anche il non trascurabile bonus di aggiungere una vita in più, il che significa che venire colpiti mentre si utilizza un veicolo non porterà alla morte istantanea di Alex ma, piuttosto, alla distruzione del veicolo stesso, permettendo conseguentemente di proseguire nel livello come se nulla fosse.
Non mancano ovviamente le boss fight, che a differenza di quanto accade nella stragrande maggioranza dei platform, non prevedono un vero e proprio scontro. Non sempre almeno. Se da una parte abbiamo scontri con dei boss piuttosto semplici e in linea con quelli che sono i canoni del platform, dall’altra abbiamo gli scontri con i subordinati dell’Imperatore Janken, strutturati come gare di morra cinese al meglio delle tre puntate. Janken, infatti, è in lingua giapponese anche il modo in cui viene denominata la morra cinese tramite il metodo di scrittura Romaji, che utilizza lettere latine per la romanizzazione delle parole giapponesi. Gli scontri con i luogotenenti dell’Imperatore Janken seguono tutti il medesimo schema. Durante un breve intermezzo musicale dovremo scegliere la mossa da utilizzare, fra carta, forbici e sasso, determinando quindi il punto a nostro favore o a nostro discapito. Vincendo due round si potrà sconfiggere il nostro avversario, proseguendo nel livello successivo.
Purtroppo non è tutto oro ciò che luccica, e nonostante questo Alex Kidd in Miracle World sia un lavoro di pregevole fattura, purtroppo ha alcuni difetti che potrebbero invero rivelarsi invalidanti in termini di fruizione per il grande pubblico, in particolar modo per chi non è abituato all’impostazione fortemente old school del titolo. La prima cosa di cui vale la pena di parlare è la difficoltà del titolo, che a volte si rivela essere completamente falsata verso l’alto, senza una motivazione precisa. Se è vero come è vero che questa è una caratteristica dei platform di fine anni ’80 e inizio anni ’90, non possiamo e non vogliamo soprassedere di fronte ad alcune pecche che, purtroppo, sono tristemente evidenti, come l’estrema sensibilità dei controlli, per la quale basta anche un tocco leggero sull’input di comando per far muovere il personaggio. E se di per sé questo potrebbe essere non considerato un difetto, lo diventa nel momento in cui spesso vengono richiesti salti estremamente precisi al giocatore, che è chiamato a far saltare Alex su singoli blocchi sospesi sopra al baratro di turno. Dal momento che non è possibile aggiustare la posizione del salto, una volta che questo è stato spiccato, ci si ritrova spesso ad atterrare al limite del blocco, con la conseguenza che si finisce per dare un colpetto alla levetta per aggiustare la precisione, con il risultato che la risposta troppo sensibile del comando fa muovere il nostro avatar più del necessario, causandone più spesso che no una morte prematura e immeritata.
A questo va ad aggiungersi una gestione delle hitbox non sempre precisa come dovrebbe, cosa che al pari dell’estrema sensibilità dei controlli contribuisce ad elevare la difficoltà del gioco verso soglie che talvolta rasentano la frustrazione nera. Non soltanto ci troveremo più volte ad effettuare un salto verso l’alto con l’obiettivo di superare un ostacolo, salvo poi scoprire che non è possibile perchè la hitbox ci impedisce di farlo nonostante non vi siano ostacoli visibili ad impedirci il passaggio, ma capita a volte che anche le hitbox dei nemici stessi siano più ampie di quanto non appaia. E questo, naturalmente, porta ogni volta ad avvicinarsi a loro convinti di poter calcolare opportunamente la distanza per poter colpire il nemico di turno, salvo poi vedersi morire per essere stati toccati dal nemico stesso. Questi difetti causano, come è lecito aspettarsi, un livello non indifferente di frustrazione, che tuttavia risulta estremamente mitigato dalla presenza di un’opzione nel menu che consente l’attivazione delle vite infinite, al prezzo di non poter raggiungere determinati obiettivi e con l’impossibilità di disattivarle nella partita corrente.
L’opzione delle vite infinite è disponibile fin dal primo avvio del gioco.
Vale la pena menzionare anche la durata del titolo, che risulta essere estremamente breve. E se questo non era un problema nel 1986, dove i videogiochi erano estremamente brevi e per tale motivo risultavano estremamente difficili, come espediente artificiale per prolungarne la longevità, bisogna tenere da conto che sono ormai passati 35 anni da quei tempi, e oggigiorno simili espedienti non sono più necessari. Fa quindi storcere il naso la presenza di soli 16 livelli, completabili nel giro di pochi secondi ciascuno, con la giusta esperienza. Certo, in un primo playthrough e con le vite infinite disattivate è probabilmente necessario impiegare diverse ore per completare il titolo, in virtù della sua estrema difficoltà che porta ad un sistema di gioco di tipo trial and error, ma purtroppo l’opzione per semplificare le cose c’è, ed è immediatamente disponibile anche ad una prima partita, andando a semplificare di molto le cose, ed impedendoci di contro di chiudere un occhio. Sarebbe bastato molto poco, come ad esempio inserire la possibilità di avere vite infinite solo una volta terminato il gioco. E’ triste pensare che da un lato si sia voluto venire incontro ai giocatori odierni tramite l’inserimento di feature volte a smorzare la difficoltà del titolo, mentre dall’altro si è rimasti così legati agli stilemi del passato, talvolta in una maniera che appare quasi ottusa e pigra.
La mappa di gioco, purtroppo, contiene meno livelli di quanto sembri.
Qualcosa di vecchio, Qualcosa di nuovo
Processore | Ryzen 5 2600 3,4Ghz |
Scheda Grafica | AMD Radeon Sapphire 5700 Xt Nitro + |
Ram | G-Skill Trident Z 3000Mhz CL16 |
Hard Disk | WD Blue 1Tb M2 SSD |
Sulla componente tecnica non possiamo esprimerci in alcun modo se non con un voto totalmente positivo. Il lavoro svolto dai ragazzi di Merge Games è assolutamente pregevole, pur trattandosi di una ricostruzione pedissequa del titolo originale, riproposto in una veste grafica rimodernata che, pur rimanendo legata allo stile 2D così caro ai plaftorm è in grado di essere estremamente piacevole alla vista, senza mai stancare, nemmeno dopo sessioni prolungate di gioco. I modelli, sia quello di Alex che quelli degli npc e dei nemici, sono realizzati e dettagliati in una maniera sublime, e nonostante il core del gioco sia indiscutibilmente di vecchio stampo, riescono ugualmente a portarlo di peso verso la modernità, nonostante la totale assenza di impostazioni di tipo grafico, fatta eccezione per la possibilità di impostare la risoluzione e la sincronizzazione verticale.
Gli sviluppatori hanno voluto assicurarsi con estrema attenzione che i giocatori potessero apprezzare realmente il cambiamento effettuato. Questo gioco infatti, vogliamo ricordarlo, risale al lontano 1986, e non tutti possono avere un ricordo sufficientemente vivido di com’era il titolo originale. E così Merge Games ha pensato di introdurre un’ulteriore opzione all’interno del proprio titolo, dedicata a tutti i nostalgici e, perché no, anche solo semplicemente ai curiosi. Tramite la pressione di un singolo tasto sarà infatti possibile passare immediatamente alla veste grafica del gioco originale, potendo conseguentemente apprezzare l’ottimo lavoro di rifacimento svolto per Alex Kidd in Miracle World DX. Operazione, questa, che non possiamo fare altro che lodare con tutte le nostre forze, in un’epoca che sembra vivere di remake e remaster, dove tuttavia gli originali rischiano spesso di venire dimenticati, soppiantati dalle loro nuove versioni. In Alex Kidd il rischio non si pone, ed il vecchio e il nuovo convivono l’uno al fianco dell’altro, senza che nessuno dei due rischi di andare perduto. Molto buono, infine, anche il comparto audio, che presenta tracce di sottofondo piuttosto semplici ma, al contempo, anche estremamente piacevoli all’ascolto, riuscendo a non stancare le orecchie anche dopo ascolti prolungati dopo sessioni di gioco particolarmente lunghe.
Conclusioni
Alex Kidd in Miracle World DX è un gioco che ha saputo prendere il vecchio e dargli una bella lucidata, riportando in auge un titolo che oramai sentiva impietosamente il peso degli anni. Nonostante l’ottimo lavoro di rifacimento grafico e sonoro, e a dispetto della lodevole iniziativa di includere la veste grafica originale all’interno del titolo, rimane purtroppo il fatto che questo titolo sia fortemente ancorato ai dogmi del passato, proponendo una soluzione che vede una brevità imbarazzante per i tempi moderni ed una difficoltà talvolta ai limiti del frustrante come diretta conseguenza. Un mix di fattori che può senza dubbio appassionare e divertire i giocatori più nostalgici e di vecchia data, ma che rischia di non far presa come dovrebbe sul pubblico moderno, abituato a ben altro tipo di setting, dove il videogioco deve essere longevo ed alla portata di tutti.