Flintlock the Siege of Dawn Review

by Splintell
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Sviluppatore:Distributore:Versione testata:Costo:Data rilascio:
A44 GamesKepler InteractiveSteam39,99€18/07/2024

Non puoi uccidere ciò che è già morto.
Celebre frase presa direttamente dal film cult del ’94 The Crow che riassume il senso di impotenza nel dover affrontare un’entità apparentemente immortale in quanto già tecnicamente morta ma mossa da una forza sovrannaturale in cerca di vendetta.
La nostra protagonista Nor però non credo abbia visto il film e quindi, di fronte al levarsi di orde di non morti ,la soluzione più logica che le è venuta in mente è quella di ammazzarli di nuovo.

Flintlock, the Siege of Dawn è la storia di un’eroina, con la sua semplice caparbietà e l’aiuto di un essere divino, Enki, si imbarca in un viaggio che la porterà a rimediare ad un grosso errore commesso dall’umanità nel giocare con delle forze ben al di la della loro comprensione, pretendendo vendetta da ogni essere ultraterreno che le si parerà davanti.

I creatori di questo nuovo titolo sono gli A44 Games, uno studio relativamente giovane (fondato nel 2013 a Wellington, New Zeland) è già noti per il loro primo lavoro, Ashem, che li ha fatti conoscere ed apprezzare per la loro visione artistica con una reinterpretazione del genere Souls-lite.
Alla loro seconda opera in assoluto hanno davvero fatto all-in, mostrando al mondo le loro alte potenzialità soprattutto in ambito di grafica (difficilmente troveremmo dei titolo doppia A di questa qualità) e solidità.


TRA VIVI E MORTI


Flintlock, The Siege of Dawn, si apre davanti a noi con una guerra brutale che vede contrapposti i vivi ad i morti. Un cataclisma ha in qualche modo squarciato il velo che separa i 2 mondi che adesso si mischiano, permettendo a divinità cadute e orde di redivivi di camminare nuovamente sulla terra, scatenando il caos e portando distruzione e massacri ovunque.
La nostra protagonista, Nor Vanek, orfana di questa guerra continua, viene reclutata nell’esercito di difesa e diventa un geniere specializzato nel far esplodere le breccie nelle mura.
Dal temperamento deciso ed intrepido, si butta nella mischia non appena ha l’occasione di provare il suo valore, dando di fatto inizio alla trama del gioco ed al suo (quindi nostro) viaggio per sconfiggere le divinità risorte e le orde dei morti.

Lo scenario nel quale siamo immersi è di quelli che non si vedono spesso nei giochi fantasy, quasi sempre incentrati in un medioevo mitologico. No, qui siamo in quello che potremmo definite tardo 18° secolo, l’era dei moschetti e della polvere nera.
In particolare i primi minuti di gioco ci mostrano una situazione facilmente trasportabile ad un’assalto di piena era Napoleonica, con la potenza soverchiante delle bocche di fuoco e degli esplosivi particolarmente realistici.

Questa introduzione però viene subito smentita e l’atmosfera torna molto in fretta verso quella più canonica del Dark-Fantasy tipico del titoli Form Software e di tutte le sue varie derivazioni, mantenendo però la sua identità e coerenza storica.


SOUL NELL’ANIMA


Dopo la cutscene iniziale, non appena prendiamo possesso di Nor, quello che ci si apre davanti è una struttura di gioco assimilabile ad un classico Soul
Sembra che ormai qualsiasi gioco Action RPG debba in qualche modo essere associato a questa tipologia per avere un minimo di considerazione, il che è un grosso peccato perché l’impianto diventa abbastanza limitante nelle scelte sia stilistiche che soprattutto di gameplay, ma andiamo con ordine.
Anzitutto possiamo dire che per giocare a Flintlock, l’utilizzo del gamepad è fortemente consigliato.
Questa di solito è una regola non scritta per tutti i giochi in terza persona, ma in questo caso gli sviluppatori ci tengono a sottolineare con un messaggio in game al primo avvio, che l’utilizzo di un controller sia il modo migliore per godere appieno dell’esperienza.

Questo gioco non è solamente un Souls però, è un’amalgama di generi con chiare ispirazioni ben definite in alcune sezioni del gioco: troviamo lo stile Open Map tipico oramai dei nuovi God Of War, dal quale eredita anche le meccaniche del compagno di viaggio indirizzabile come elemento di disturbo nei combattimenti.

Dopo aver mosso i primi passi però, ci accorgiamo che qualcosa non torna ed il paragone con il capolavoro di Sony è, purtroppo, è impietoso: i tempi di risposta del protagonista sono parecchi lenti, il delay tra la pressione del tasto e l’azione a schermo sembra essere davvero eccessivo e questo rompe parecchio il flow dell’azione (e passare a mouse e tastiera non fa che accentuare ancora di più questa sensazione), considerando anche che come arma bianca utilizziamo un’ascia ad una mano, un arma che dovrebbe essere classicamente abbastanza veloce e reattiva.

Dopo i primi attacchi notiamo subito che le mosse a nostra disposizione sono anche piuttosto limitate, poichè il tasto per controllarla è solo uno (RB su controller Xbox o R1 su PS): attaccare quindi in questo gioco si limita quasi unicamente allo spam di un singolo tasto, alternato solo con la parata, con possibilità di fare perry indovinando il tempo ed utilizzando saltuariamente la pistola, vero aspetto originale del gioco.

Le bocche di fuoco in questo gioco sono si contestualizzate bene, ma il loro utilizzo è molto limitato a causa del bassissimo numero di munizioni disponibili che sono rigenerabili solo con i colpi di ascia.
poco più avanti nella storia acquisiamo infine il moschetto, arma ad alto potenziale di danni al quale però vengono fornite unicamente 3 munizioni, ricaricabili solo andando a riposare nei vari “falò”. Questo è de facto il nostro completo arsenale (salvo una specie di lanciagranate un pelo anacronistico) con il quale affrontare l’intera storia, cosa assai limitante e monotona se non fosse per le abilità speciali (sbloccabili dopo i primi 40 minuti di gioco circa).

Queste abilità sono divise su 3 rami, che si concentrane nel potenziare i 3 unici modi che abbiamo per fare danni ai nostri nemici: abbiamo il ramo della polvere da sparo (caratterizzato da incremento di danni, passive ed abilità uniche), il ramo dell’ascia (anche qui incentrato su aumento dei danni, riflessione dei proiettili nemici ed abilità uniche) ed infine il ramo dedicato ad Enki, il nostro pet che da accesso alle magie.

Questo è forse la parte che ho apprezzato maggiormente dell’intero gamestyle, perchè fornisce maggiore varietà ad un pattern che alla lunga rimane comunque abbastanza monotono, ma soprattutto perchè ci permette con doppio salto e schivata di navigare la mappa in maniera decisamente più rapida e divertente, unita alla possibilità di sbloccare in punti specifici una sorta di collegamento aereo: tornare indietro nelle varie zone quindi non è mai tedioso.


TECNICA


Piccola, triste (si fa per dire) verità. Risulta davvero difficile notare problemi al comparto tecnico con un setup del genere, mi spiego meglio: siamo praticamente ad un soft cap (presente in tantissimi titoli, specialmente quelli sviluppati per essere multiplatform), dove una volta raggiunti i 120/130 FPS in 4K non si riesce a salire oltre nonostante l’hardware abbia ancora cavalli liberi da sfruttare. Questo mi porta a pensare che una GPU del genere venga presa davvero poco in considerazione da chi sviluppa giochi, il che ha anche senso, trattandosi letteralmente del 0,9% del mercato (stando a dati Steam per lo meno), ma mostra anche quanto poco i giochi siano davvero pensati per sfruttare a pieno le GPU e la loro scalabilità.

Detto questo, torniamo a Flintlock e al lavoro svolto da A44.
Graficamente il gioco si mostra bene ad una prima occhiata: i dettagli in primo piano sono curati, la protagonista ed il suo outfit emergono in maniera netta per la quantità di dettagli rispetto agli altri NPC e per il discreto lavoro sulle mimiche, anche se il taglio registico delle cutscene è davvero elementare, forse pure troppo, tanto da finire per essere un po’ troppo piatto.
l’ambientazione è sicuramente un punto di forza dell’esperienza; le macro aree chiuse sicuramente aiutano ad alleggerire il carico di elementi da renderizzare e permette di avere meno oggetti e più cura nei dettagli, anche se questo livello di dettaglio viene perso se andiamo ad avvicinarci a oggetti non pensati per l’interazione con il giocatore.

Nota davvero dolente per il titolo, ma questa è anche una critica nei confronti di buona parte dei action RPG che si ispirano fortemente a meccaniche da Soulslike, è la responsività dei comandi. Purtroppo a pressione del tasto, l’azione a schermo si palesa in ritardo; nulla di invalidante o distruttivo del gioco, ma è alquanto fastidioso dover pensare di dover anticipare costantemente qualsiasi azione per compensare il ritardo. questa purtroppo è una criticità che spesso viene spacciata per feature, tratto distintivo di questo filone di giochi che ti costringe a dover imparare i pattern dei nemici per anticiparli, invece che reagire di riflessi alle loro mosse.
Opinione personale: questo stile di gioco alla lunga stanca ed annoia perchè obbliga ad azioni mnemoniche, attività che ho sempre odiato sui Darksouls e che dopo Sekiro speravo davvero di non vedere più .

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