Death Stranding Review

by Zethras Gorgoth
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Sviluppatore: Kojima ProductionDistributore: 505 GamesVersione: SteamCosto: 59,99 EuroData rilascio: 14/07/2020

Quando alla Gamescom del 2014 venne presentato il primo teaser trailer di Silent Hills, molti videogiocatori fecero i salti di gioia. Il progetto, ennesimo esponente di una delle saghe di punta di Konami, sembrava essere partito sotto i migliori auspici, e vedere Gullielmo del Toro e Hideo Kojima, autore della celeberrima saga Metal Gear Solid, alla scrittura aveva dato ai fan della IP Konami la speranza di veder rinascere Silent Hill dalle proprie ceneri come una fenice. Tali speranze vennero, però, mandate in frantumi quando Kojima cessò il proprio rapporto lavorativo con la software house giapponese, fondando successivamente la Kojima Production. È all’E3 del 2016 che le cose hanno iniziato a smuoversi nuovamente quando, con un reveal trailer, è stato presentato al pubblico un progetto chiamato Death Stranding. Avvolto nel più totale mistero fin quasi alla sua uscita, Death Stranding ha fin da subito destato enorme curiosità in critica e pubblico, oltre a godere di aspettative elevatissime. E la domanda alla quale vogliamo rispondere oggi è: Hideo Kojima è riuscito col suo primo lavoro indipendente ad essere all’altezza delle aspettative?

“Un tempo ci fu un’esplosione; uno scoppio che diede origine al tempo e allo spazio. Un tempo ci fu un’esplosione; uno scoppio che portò un pianeta a ruotare in quello spazio. Un tempo ci fu un’esplosione; uno scoppio che generò la vita così come la conosciamo. E poi arrivò un’altra esplosione…”


Un mondo diviso


E’ con queste parole del protagonista del gioco, sulle note di Don’t Be So Serious dei Low Roar, che si apre Death Stranding. Sam Porter Bridges, il personaggio che controlleremo direttamente, è un uomo dal passato difficile, un corriere in un mondo post apocalittico devastato da un evento chiamato Death Stranding, dove le persone vivono in rifugi sotterranei e comunicano le une con le altre attraverso ologrammi e comunicazioni codec. In questo scenario dove la speranza e l’ottimismo sembrano lussi al di fuori dalla portata di chiunque, Sam è chiamato a riunificare l’America sotto l’egida delle UCA (United Cities of America) ripristinando la rete chirale e la connessione delle persone le une con le altre, scoprendo anche dettagli oscuri e terrificanti del mondo che lo circonda. Sarebbe quasi criminale recensire questo gioco senza parlare in maniera più approfondita della storia, eppure farlo risulta essere estremamente difficile, perchè la tela narrativa intessuta da Hideo Kojima è di una bellezza e di una complessità unica, capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano e di suscitare sentimenti a volte contrastanti, ma alla quale è impossibile rendere giustizia senza rischiare di rovinare il gusto della scoperta ai nuovi giocatori. Quella che ci troveremo a vivere in Death Stranding è una storia che inizialmente può sembrare estremamente banale e talvolta perfino scontata, che può annoiare nelle prime ore, ma che col proseguire dell’avventura rievoca nella mente del videogiocatore le stesse sensazioni ed emozioni già vissute nella Metal Gear Saga.


Nel novembre del 2019, Death Stranding ha visto la luce come esclusiva Playstation 4, e pubblico e critica si sono divisi, e sono stati in molti ad additare questo gioco con appellativi poco lusinghgieri come simulatore di camminata o semplicemente Bartolini Simulator. La verità, come spesso accade, è nel mezzo. Se da una parte è completamente sbagliato additare l’opera di Kojima Production come un simulatore di camminata, dal momento che presenta meccaniche di gameplay che esulano completamente da questa definizione, dall’altra è sbagliato anche sintetizzarne la struttura in un semplice simulatore di consegne, perchè c’è molto, molto di più dietro questa superficie. Al proprio nucleo, Death Stranding si presenta effettivamente come un gioco in cui il gameplay si basa sul consegnare pacchi, attività tramite la quale svolgeremo l’obiettivo primario della storia di riconnettere il territorio americano alla rete chirale. L’impostazione del gameplay risulta avere una forte componente arcade, a cominciare dalle valutazioni che riceveremo al completamento di ogni consegna, con tanto di voto e assegnazione di mi piace a seconda degli obiettivi raggiunti.

Proseguendo nel corso dell’avventura, avremo modo di sbloccare un’incredibile quantità di strumenti e armi, fabbricabili presso qualsiasi terminale connesso alla rete chirale utilizzando i materiali che troveremo in giro o che saranno già stipati all’interno delle strutture. Ogni volta che raggiungeremo un nuovo terminale avremo la possibilità di accettare uno o più incarichi, suddivisi fra ordini di trama, contrassegnati come “Ordini per Sam” e ordini secondari, contrassegnati come “Ordini Standard”.


Per aspera ad astra

Ed è proprio qui che iniziano i primi dei tanti problemi che affliggono questo titolo, e che costituiscono la sua più grande criticità. Volendo andare con ordine, l’interfaccia utente risulta essere meno intuitiva di quanto sarebbe ottimale, ed è solo dopo alcune ore di gioco che si arriva ad averne la totale padronanza, senza bisogno di farsi domande o consultare tutorial. Tutte le informazioni sono li, a disposizione del giocatore, eppure talvolta non viene spiegato nel modo migliore come ottenerle, lasciando il giocatore nella condizione di dover girovagare per i menu alla ricerca di ciò che gli occorre. Prima di una consegna avremo modo di creare equipaggiamenti e armi, se li avremo sbloccati, a seconda di ciò di cui potremmo aver maggiormente bisogno, e laddove Death Stranding non sia in nessun modo avvicinabile a Metal Gear Solid, del quale comunque si porta dietro alcuni strascichi di impostazione, avremo modo di avere a che fare con una gestione dell’inventario e dell’equipaggiamento mai vista in un gioco di questo genere o, per quello che vale, in qualsiasi altro gioco.


Ogni oggetto messo nell’inventario esiste fisicamente nel mondo di gioco ed è mostrato con precisione sul modello poligonale che andremo a controllare. Non esiste, qui, il selezionare un’arma e vederla spuntare da chissà dove, non esiste vedere decine di oggetti senza che vi sia lo spazio materiale per posizionarli. Sam ha un peso limite che può trasportare, aumentabile proseguendo nel gioco, e parte del divertimento, prima di partire per ogni consegna, è proprio l’organizzazione dell’inventario, selezionando gli equipaggiamenti e le armi ad hoc in base a quello che pensiamo potrebbe servirci. Una volta partiti però non sarà difficile riscontrare quello che è forse il maggior difetto di quest’opera: il suo approccio simulativo. Death Stranding è un gioco che si prende molto sul serio, troppo sul serio, e proprio da questo deriva l’inserimento di elementi che non avrebbero di certo stonato all’interno di un gioco con approccio più realistico e che, anzi, sarebbero stati ben accetti e accolti come un’innovazione di gran pregio. Se da una parte risulta essere innovativo e geniale inserire elementi come il mantenimento del baricentro di Sam, l’equilibrio, l’usura degli stivali e il deterioramento di attrezzatura e strutture, così come delle batterie del nostro equipaggiamento, l’altra faccia della medaglia è un gameplay che perde omogeneità e coerenza con sé stesso, inserendo elementi che vanno ad incidere in maniera preponderante sulla fruizione del gioco da parte dell’utente e che contribuiscono a rendere l’esperienza a tratti perfino frustrante.


E queste manchevolezze stridono ancora di più con altri elementi più palesemente arcade e irrealistici, come il totale recupero di munizioni e armi da lancio dopo ogni riposo nella stanza privata, perchè si ha costantemente l’impressione che certe feature siano state inserite solo per mettere il carico da novanta ad ogni costo e rendere il viaggio e l’esperienza artificialmente difficili. E questo va a riflettersi anche nella guida dei veicoli, i quali più spesso che no risponderanno in maniera incontrollata agli input che verranno dati, rendendo l’utilizzo dei mezzi di trasporto una scelta sconsigliabile in ben più di un’occasione.

Anche il sistema di combattimento si rivela essere un punto debole; strutturato in modo molto semplice senza la cura che ci si aspetterebbe da un gioco di questa caratura, soprattutto da un gioco targato Hideo Kojima, che ha da tempo abituato all’eccellenza il proprio pubblico. L’intelligenza artificiale dei nemici risulta infatti essere particolarmente scarsa e basilare, pecca alla quale si va ad aggiungere una scarsa varietà di combattimenti e di creature affrontabili, che rendono l’esperienza di gioco piatta, talvolta, in quanto manca quel fattore di sorpresa e scoperta data dallo scoprire cosa si sarà chiamati ad affrontare. Oltre a tutto questo si fa inevitabilmente sentire la mancanza di un sistema di lock-on, e purtroppo questa mancanza inficia pesantemente sugli scontri, perchè capiterà spesso di ritrovarsi a dare involontariamente le spalle ad un nemico per un colpo andato male, esponendo Sam e di conseguenza i pacchi trasportati ad un danno che spesso risulta essere immeritato.


Non è tuttavia tutto da buttare, anzi, Death Stranding ha anche molti, moltissimi pregi, alcuni dei quali sono delle vere e proprie perle. Una di queste è sicuramente il BB, il Bridge Baby, un’entità che grazie alla sua connessione col mondo dei morti si rivelerà un insostituibile e preziosissimo compagno di avventura per Sam. Oltre a dovercene prendere cura, facendo attenzione ai suoi livelli di stress, ci renderemo conto molto presto di come il BB non possa solo individuare e comunicarci la conformazione del terreno e gli oggetti presenti nei dintorni tramite la pressione di un tasto, ma anche di come sia in grado di individuare le cosiddette CA, e di fornire informazioni indicative riguardo alla loro posizione e vicinanza, il tutto senza ulteriori interfacce a schermo ma utilizzando elementi dei modelli poligonali in modo intuitivo e facilmente leggibile.


E ne avremo bisogno più di quanto possa sembrare. Le CA, o Creature Arenate, costituiscono il motivo principale di scontro all’interno di quest’opera e gli incontri con loro saranno strutturati come fasi stealth nelle quali dovremo orientarci tramite il BB per evitare il contatto con loro, pena l’inizio di una mini boss fight che, se persa, porterà a conseguenze catastrofiche. Ed è effettivamente divertente avere a che fare con questi eventi, una volta che se ne è capito il funzionamento e la meccanica, ma è un qualcosa che può risultare tremendamente frustrante, soprattutto agli inizi.

L’ultima cosa di cui vale la pena parlare è il comparto multiplayer. Parliamo in questo caso di un multiplayer asincrono, nel quale saremo connessi con altri giocatori, certo, ma in maniera del tutto diversa da come potrebbe accadere, ad esempio, con un battle royal o un titolo From Software. Il fulcro del multiplayer di Death Stranding è la condivisione, basata sul concetto di rendere il mondo migliore per chi verrà dopo di noi. Proseguendo nell’avventura avremo modo, oltre che di riconnettere la rete chirale, di costruire strutture in giro per il mondo, che spazieranno da semplici box postali, a generatori di elettricità o perfino rifugi sicuri. E queste strutture compariranno nel mondo di altri giocatori, che potranno usufruirne come noi potremo usufruire di ciò che loro hanno costruito nel proprio mondo, modificandolo in maniera dinamica e reale, e rendendo il viaggio un po’ meno duro di quanto potrebbe normalmente essere. E questo è forse uno dei punti di maggior pregio di Death Stranding, che fa della condivisione e della connessione con altri il nucleo della propria esperienza, un viaggio solitario che davvero solitario non è, e che diviene piuttosto il migliore esempio videoludico del detto l’unione fa la forza.


Sotto l’aspetto tecnico, Death Stranding è un capolavoro senza mezzi termini. Forte del Decima Engine, creato da Guerrilla Games e utilizzato anche su Horizon Zero Dawn, è in grado di restituire al giocatore un’esperienza fotorealistica e stupendamente ottimizzata


Tecnica


I ragazzi di Kojima Production hanno svolto un lavoro eccellente in tal senso, dandoci un gioco che non soltanto risulta essere incredibilmente leggero e performante anche su hardware più datati, ma che riesce anche ad immergere completamente nel mondo che i suoi creatori hanno modellato. La mappa di gioco di Death Stranding è incredibilmente viva, pulsante, mutevole nel tempo, e l’ottimo lavoro di ottimizzazione svolto contribuisce ad impreziosirne ulteriormente il valore, mettendo Death Stranding su un piano superiore rispetto a molti altri giochi. Salvo qualche piccola eccezione del tutto trascurabile, le texture sono di qualità eccelsa e capita spesso di ritrovarsi a contemplare sullo schermo momenti in cui ci si ritrova a dire “ma è davvero un videogioco?”.


Questa è la grande magia messa in opera da Kojima e dal suo studio di sviluppo, quella di essere riusciti a creare qualcosa di incredibilmente leggero e alla portata di tutti, con risultati che fanno urlare al miracolo. A livello di prestazioni il gioco si attesta su ottimi livelli, tanto che disponendo di una Radeon RX 5700XT, accoppiata ad un Ryzen 5 2600 e 16gb di ram è in grado di fornire in Full HD al massimo del dettaglio un’esperienza che si attesta su una media di 140/150fps, media che si abbasserà inevitabilmente in caso di sessioni di gioco con multiple cutscene, nelle quali il frame rate ha un cap di 60. In 2k la situazione non cambia, e con una configurazione molto simile si tocca una media di 90/100fps senza il minimo problema. Va da se, in questo caso, che anche schede meno performanti, come ad esempio una RX580 o una GTX1650 possono dire la loro offrendo al contempo un’esperienza più che dignitosa.


A supporto di tutto questo vi è un menu di configurazione grafica a nostro avviso un po’ scarno rispetto a quelli visti in giochi come i remake di Resident Evil e i più recenti Assassin’s Creed, ma che riesce comunque a dare una buona capacità di personalizzazione

Potrete comunque trovare la nostra dettagliata analisi tecnica con relativi Benchmark e resa Gpu e Cpu in questo approfondimento: “Death Stranding Benchmark GPU e CPU”

dell’esperienza desiderata. Anche il comparto audio è senza dubbio di pregevole fattura, forte di una colonna sonora coinvolgente e azzeccata, alla quale si vanno ad aggiungere composizioni di gruppi musicali udibili in determinati punti della mappa nel caso si facessero determinati percorsi prestabiliti. Ne è un esempio la celebre “Don’t Be So Serious” dei Low Roar, che oltre ad essere la musica di apertura del gioco sarà presente anche nel prologo, nel caso si affrontasse un determinato percorso per arrivare al proprio obiettivo.


Conclusioni


PROCONTRO
Narrativa eccellenteGameplay non omogeneo
Comparto tecnico di prim’ordineAlcune sezioni risultano essere frustranti
Co-op online con altri giocatoriDifficoltà mal gestita
Cambiamenti dinamici della mappa di giocoScarsa varietà di nemici e situazioni

Death Stranding è un gioco che è stato a lungo atteso e bersaglio di un hype enorme da parte di pubblico e critica. La presenza di Hideo Kojima alla direzione è sicuramente un qualcosa che genera curiosità, ma questa volta nemmeno il maestro giapponese è riuscito ad eguagliare perle di perfezione come lo furono, per l’epoca, capolavori come i Metal Gear Solid. Death Stranding è invero un gioco che si prende incredibilmente sul serio, con un forte approccio arcade, ma che per colpa delle velleità simulative inserite nel gameplay rende l’esperienza di gioco spesso frustrante e noiosa, soprattutto perchè va ad influenzare direttamente il modo in cui il giocatore stesso ne fruisce. Non si tratta sicuramente di un gioco da buttare, anzi, ci sentiamo di consigliarlo a chiunque sia fan del lavoro di Kojima e della sua narrativa. I pregi sono molti, moltissimi, e chi avrà la pazienza di giocare a quest’opera arriverà ai titoli di coda con la sensazione che il gioco gli abbia effettivamente lasciato qualcosa. Purtroppo i suoi difetti, per quanto pochi, sono comunque abbastanza gravi da abbassare un voto che, in un contesto differente, avrebbe assurto di diritto all’eccellenza videoludica, posizionandosi su quel podio che spetta ai capolavori senza tempo, un podio che purtroppo non sentiamo di conferirgli. Non questa volta.

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