L’ Arte del remake, quando il classico Incontra il moderno.

by Luca Vitale
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Quella che stiamo vivendo é un‘epoca videoludica dalle derive tecniche incredibili.
L’asticella tecnica delle produzioni continua la sua ascesa ed i videogiocatori diventano sempre più esigenti.

I modelli, l’illuminazione e la definizione delle scene danno vita a mondi sempre più grandi, ricchi e dettagliati. Purtroppo, però, il reiterarsi di situazioni, meccaniche e tessuti narrativi, mostrano il fianco ad una stanchezza innovativa ormai cronica, che rende sempre più complicato l’ intagliarsi delle nuove produzioni nel cuore degli appassionati.

Dare una definizione universale non é impresa facile, il termine ha nella sua esperienza larga interpretazione, con progetti che “si limitano” a proporre un profondo svecchiamento dell’ intero comparto tecnico, ed altri che si prendono oltre a ciò, qualche libertà stilistica e narrativa in più. Da non confondere sono i remake con le remaster, che risultano essere si dei miglioramenti tecnici, ma usano gran parte del materiale originale limitandosi a migliorare l’esperienza tecnica della vecchia versione.


Esigenze di mercato


Fatta questa doverosa premessa cerchiamo di definire il ruolo dei remake nell’intreccio del mercato moderno, in cui la presenza degli stessi si sta facendo, negli ultimi anni, sempre più insistente.
Da quanto esposto fino ad ora, commercialmente questi prodotti potrebbero definirsi una mera operazione di riproposizione sterile, mirata a rivendere un asset di grande successo per saltare a piè pari quella fase di pre-produzione creativa che presenta ormai un’ostacolo più alto di quanto, in passato, non fosse rappresentato dai limiti tecnici.

E invece no, o meglio, non fino in fondo. Se da una parte i remake sono sicuramente opere la cui meta é già impostata dai passi percorsi dai diretti antenati, dall’altra sono suscettibili alle risposte di un pubblico spaccato, variegato, dalle esigenze differenti, da una parte pregno dell’esperienza della vecchia guardia, dall’ altra più giovane e ormai abituato alla fluidità delle meccaniche moderne.

Ecco, quindi, che la decisione commerciale di produrre un remake prende note agrodolci, difficili da armonizzare nella gestazione di un progetto che deve risultare si moderno, ma al contempo abbastanza fedele nell’anima alla produzione originale al fine di non scontentare nessuno e, soprattutto, far quadrare i conti al tavolo degli investitori.

Una delle evidenze del passato più recente é sicuramente il lavoro svolto da Resident Evil 3 Remake, un gioco tutto sommato dai buoni riscontri, ma che forse nella speranza di raggiungere più utenza di quanto non fece il precedente (ottimo) remake del secondo capitolo, é risultato essere per i vecchi fan un piccolo, ma non troppo digeribile, boccone videoludico.


Il suo Nobile Compito


I Remake devono quindi essere opere complesse, furbe e ponderate, animate da un indispensabile ingrediente per il proprio successo: l’amore.
Ammettiamolo, recuperare prodotti tecnicamente vetusti non é certo impresa facile per i nostri ingordi occhi, abituati ormai alle meraviglie tecniche che le nostre fidate e luminose macchine da gioco rendono oggi realtà.
Certo, non stiamo dicendo sia impossibile rigiocare a giochi vecchi di qualche lustro senza divertirsi, ma Il poter recuperare, o magari giocare per la prima volta vecchi titoli dalla forza contenutistica dirompente in un engine moderno, é qualcosa di assolutamente magnifico.

Ritrovarsi col proprio Taxi per le strade di una Lost Heaven bella più che mai, canticchiando Heart and Soul allo scorrere delle deliziose insegne pubblicitarie anni 30′ é qualcosa che se già nel 2002, all’ uscita del primo Mafia, risultava essere una piacevole esperienza, oggi sarà qualcosa di indimenticabile.

La recente rivisitazione della scalata al crimine di Thomas Angelo é l’ esempio perfetto di quello che un remake deve fare ed essere.


Mafia, l’edizione definitiva paradigma del Remake



Mafia: Definitive Edition risulta un atto d’amore spassionato verso quel piccolo capolavoro che fu, nel 2002, la prima, coraggiosa iterazione di un brand che con l’ ultimo capitolo non era riuscito a convincere fino in fondo, soffrendo la tendenza di mercato degli Open World moderni.
Un prodotto ancora unico, attuale ma fedele, che sa dove vuole e deve arrivare.

Le vicende narrative vengono riprese in maniera piuttosto pedissequa all’originale, ma il loro districarsi si prende alcune piccolissime libertà sceniche che vanno a limare qualche espediente che risulterebbe oggi un po’ forzato.

Poco importa, comunque, poiché i passaggi cardini rimangono assolutamente ancorati al fulcro originale. Approfondita é, invece, l’introspezione del protagonista, che lo porta via via a prender maggiore coscienza delle proprie azioni impreziosendo anche la coerenza nel suo pentimento.

Il livello tecnico é di prim’ordine. L’ engine di Mafia 3 é stato limato, ottimizzato e, risolti i problemi delle prime versioni (che resero il terzo capitolo letteralmente ingiocabile al lancio) impreziosito con effetti, riflessioni e giochi di luce di altissima qualitá.

Un minuzioso lavoro di ricostruzione ha visto Lost Heaven diventare una cittá inedita e magnifica, dipinta in uno scenario storico difficilmente navigato dalle produzioni videoludiche.
L’unico appunto va al sistema di shooting e movimento del personaggio che pur risultando moderni, soffrono degli stessi problemi di pesantezza del terzo capitolo.
Un plauso, invece, al modello di guida dei veicoli, che risultano avere un peso proprio e un rapporto con l’ asfalto difficile da trovare in giochi di questo genere.

Si definisce, quindi, un prodotto che ha tutti i canoni per essere appetibile a una platea moderna che non sia ossessionata da un richiamo di necessità verso l’altare dell’open world, così come ai navigati videogiocatori che ne apprezzano i richiami che 18 anni fa lo elessero come assoluta primizia.

Ci saranno, questo è ovvio, sempre critiche di coloro che ne lamentano alcune mancanze, deficit che se portati forzatamente in Mafia ne snaturerebbero, evidentemente, il complesso equilibrio, diventando specchio di un mercato produttivo moderno di cui non fa più parte.

Il Remake, quindi, deve conservare un certo stimolo protettivo, una certa enfasi su narrative ormai affossate da roboanti funzionalità che non a tutti interessano, ma che il mercato non può ignorare.

In fondo la loro stessa esistenza, il loro stesso apprezzamento, sono tutti indizi di come forse vi sia una tendenza, un richiamo, a preferire qualcosa di più furbo, meno strutturato, più genuino in funzione di opere che rischiano, molto spesso, di perdersi nelle loro medesime ambizioni.


Passione economica


C’è però un altro aspetto che non possiamo ignorare e che fa di questa pratica un terreno di rimando sicuro, un tentativo, per certe produzioni, di mettere le fondamenta per un nuovo inizio e conciliare i tempi di produzione.

Non a caso, spesso, l’idea di proporre un remake è feconda in realtà dove l’ultimo videogioco prodotto non ha ottenuto importanti riscontri, vuoi dalla critica, vuoi, più raramente, in fatto di vendite.

Diventa, quindi, una sorta di sonda mediatica in grado di catturare, con un rimando ai porti sicuri di un vecchio titolo di successo, l’apprezzamento o meno della platea, per toccare quelle corde che traballano davanti a mille pensieri, per rendere palese e più solido un indirizzo, sia tra gli sviluppatori, confortati dai riscontri, sia per i distributori, allettati dalle possibilità di guadagno.

Ovviamente questo non rappresenta l’unico ambito: vi sono remake che fioriscono per la semplice volontà di resuscitare storie o meccaniche troppo convincenti per non trovare nuovo sfogo (Final Fantasy VII), anche solo come esperimento empirico, ma in questo caso si tratta, come abbiamo già sviluppato, di gesti d’amore, o opportunità di arricchimento che sfociano spesso in clamorosi disastri senza l’idea di future progettualità.

E quando i grandi produttori comunque latitano, c’è un’altra figura che può, grazie al suo gratuito lavoro, innescare la miccia, i modders: che si tratti di interi porting in motori più moderni o semplici ottimizzazioni migliorative, questi volenterosi figuri, per pura passione, per tributare a un’opera la loro reverenza, si prestano nottate intere al servizio di piccole comunità di appassionati per elevare e correggere vecchie glorie del passato.

Paradigmatica è la storia di Invider Studios e il loro progetto Resident Evil 2 Reborn, una total conversion su Unreal Engine 4 della serie, un’idea che ottenne una tale visibilità da ispirare Capcom a puntare proprio su un lavoro simile, ma mosso dal RE engine.


Siamo giunti al termine di questa lunga analisi delle dinamiche che portano a pensare, progettare e ingegnerizzare un remake, un compito che, come abbiamo visto, non è un semplice copia incolla ma deve planare dolcemente su tutta una serie di interrogativi e aspettative, una pratica che può trovare strade sbagliate, ma che allo stesso tempo consente, in alcuni casi, di immergerci, in una infrastruttura moderna, in estetiche e sapori passati.

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